Sanità pubblica e Assistenza sociale

«Si racconta di Talete che, mentre guardava verso l’alto per osservare gli astri, sia caduto in un pozzo. E una servetta tracia, spiritosa e graziosa, si dice l’abbia preso in giro, perché si sforzava di conoscere le cose nel cielo, mentre non vedeva quelle che gli stavano vicine e fra i piedi. Ma questa battuta si addice a tutti quelli che si occupano di filosofia». Platone, Teeteto, 174a
(In Mario Vegetti. Quindici lezioni su Platone. Einaudi editore, Torino 2003, pag 164)

 

Ci sono molti motivi perché coloro che, professionalmente o meno, partecipano alla attuazione e allo sviluppo della Sanità pubblica prendano in maggiore considerazione il “sistema di assistenza sociale”, per lo meno alla pari dell’interesse dimostrato per il “sistema di assistenza sanitaria”. Infatti ambedue i sistemi concorrono a realizzare la missione della Sanità pubblica, tradizionalmente intesa come la “scienza ed arte di prevenire le malattie, prolungare la vita e promuovere la salute per mezzo degli sforzi organizzati ad ogni livello (nazionale, regionale, locale) dalla società”.

Si deve tener presente che ogni Paese si è dotato di un suo particolare sistema assistenziale sanitario e sociale, più o meno sviluppato, in ragione delle sue specificità storiche, politiche, economiche, cultura- li, antropologiche. Indipendentemente dalle loro differenze, i modelli assistenziali sono progettati per proteggere le persone dai rischi quali la perdita di salute, la disoccupazione, la responsabilità genitoriale, la vecchiaia, la mancanza di alloggio, l’esclusione sociale e così via. La richiesta di protezione, da parte

di singoli soggetti, di gruppi di cittadini, di intere comunità e della popolazione totale è in continua e inesauribile estensione perché tale è la natura dei bisogni umani3. Tanto più verranno soddisfatti i bisogni umani tanto più cresce il benessere delle persone avvicinandosi al completo stato di salute, individuale e collettivo.

Un primo motivo di interesse per il “sistema di assistenza sociale” è contenuto già nella storica definizione di Salute – “oscuro oggetto del desiderio”4 della Sanità pubblica – che, nella Carta fondativa dell’Organiz- zazione mondiale della sanità del 1948, enumera il perseguimento del benessere sociale accanto a quello fisico e mentale. Un gran numero di discipline, Economia, Sociologia, Psicologia, oltre alla Medicina, si interessano al costrutto “Salute”. Per la Medicina di sanità pubblica l’interpretazione, coerente con la de- finizione, entra spesso in contrasto con il più ristretto concetto biomedico correlato all’assenza di malattie organiche e mentali, proprio per la presenza di elementi di carattere “sociale” legati all’idea di benessere. Un secondo motivo è contenuto nel Rapporto finale della Commissione sui determinanti sociali di salute dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS)5. Nel Rapporto si afferma che esistono disuguaglianze sistematiche dello stato di salute della popolazione giudicate inique perché non giustificate dal punto di vista biologico. I fattori che causano tali condizioni sono proprio i “determinanti sociali di salute” che hanno dimostrato un impatto diretto ed immediato sulla salute individuale e collettiva; ne sono un esempio la mancanza di risorse, un’istruzione carente, un lavoro precario o poco sicuro, un accesso difficoltoso alle prestazioni e provvidenze del sistema sanitario e sociale. Queste condizioni sono evitabili mediante politiche e strategie di natura principalmente socio-economiche, ottimizzando il livello e la distribuzione della prote- zione sociale, in quanto sebbene le stime siano diverse, la maggior parte delle analisi suggerisce che solo il 10% circa della variazione dello stato di salute è attribuibile alle cure mediche. Inoltre, l’assistenza medica è più efficace nell’affrontare e prevenire le malattie infettive e le malattie acute che quelle cronico-degenerative (Kaplan RM. Behavior change and reducing health disparities. Prev. Med. 2014; 68: 5-10).

Un terzo motivo, collegato al precedente, è l’impossibilità di realizzare l’aspetto più attuale e promettente della Sanità pubblica: la Promozione della salute. Non è infatti possibile riuscire a raggiungere l’egua- glianza nelle condizioni di salute, riducendo le differenziazioni evidenti nell’attuale stratificazione sociale della salute, senza offrire a tutti eguali opportunità e risorse per conseguire il massimo potenziale di salute possibile. In particolare, trascurando la componente del sistema sociale, è inconcepibile “riorientare” i servizi sanitari nella logica di renderli più adeguati ad interagire con gli altri settori della vita pubblica, in modo tale da svolgere un’azione comune per la salute della comunità di riferimento. Si sono raccolte pro- ve sufficienti che dimostrano come nei paesi economicamente avanzati l’aumento di ricchezza (PIL) abbia un effetto limitato sullo stato di salute psico-fisico mentre assume maggiore valore il benessere sociale, specialmente in termini di giustizia sociale ed equità.

Un quarto motivo è da ricercarsi nell’attuale quadro demografico6 ed epidemiologico7 italiano (ma anche di molti altri paesi economicamente sviluppati). L’evoluzione positiva della sopravvivenza si è accompa- gnata a una trasformazione della struttura della mortalità per età e causa: i decessi avvengono progressiva- mente a età sempre più elevate e la mortalità per malattie infettive è stata ampiamente superata da quella dovuta a malattie cronico-degenerative. Questi fenomeni si associano all’aumento della multimorbosità, o comorbosità multipla, o presenza di più condizioni croniche tanto che si stima che nelle nazioni svi- luppate, circa un adulto su quattro abbia almeno due condizioni croniche, e più della metà degli adulti più anziani abbia tre o più condizioni croniche. Ne consegue che «il mondo della cronicità è un’area in progressiva crescita che comporta un notevole impegno di risorse, richiedendo continuità di assistenza per periodi di lunga durata e una forte integrazione dei servizi sanitari con quelli sociali e necessitando di servizi residenziali e territoriali finora non sufficientemente disegnati e sviluppati nel nostro Paese». Inoltre «è ormai ampiamente consolidato il consenso sul principio che la sfida alla cronicità è una “sfida di sistema”, che deve andare oltre i limiti delle diverse istituzioni, superare i confini tra servizi sanitari e sociali, promuovere l’integrazione tra differenti professionalità, attribuire una effettiva ed efficace “centralità” alla persona e al suo progetto di cura e di vita» (Ministero della salute. Piano nazionale della Cronicità del 15 settembre 2016).

Un quinto ed ultimo motivo va ricercato nel soddisfacimento dei più alti valori della Sanità pubblica, in quanto disciplina orientata di preferenza al raggiungimento del benessere collettivo e non solo di quello individuale, e che non può esercitarsi solamente nel campo dell’assistenza sanitaria. Fin dalla sua origine Essa è pervasa sia dagli ideali di origine ippocratica, con l’obbligo universale di prevenire e alleviare le sofferenze, e sia dai più moderni principi espressi dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948)8, con l’obbligo di assicurare a chiunque il rispetto dei suoi diritti fondamentali e la risposta ai suoi bisogni essenziali. Per ottemperare a quest’ultima esigenza si è tentato di concretizzare il concetto di “essenziale”9, stabilendo i “livelli essenziali di assistenza, LEA”10 ed i “livelli essenziali di assistenza sociale, LivEAS”11. Si tratta di un elenco di prestazioni e di attività che lo Stato ritiene così importanti da non poter essere negate ai cittadini e garantite su tutto il territorio nazionale, a cui ogni cittadino può legittimamente aspirare e, in caso di mancato ottenimento, pretendere. Per conseguire lo stesso successo riscontrato nella determinazione degli obiettivi, nella misura degli esiti e nel miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria, il sistema di assistenza sociale dovrebbe essere analizzato con la stessa sistematicità e severità12, onde evitare di cadere in un generico quanto diffuso “assistenzialismo”13, che facilmente degenera in

“clientelismo”14. Ciò significa che i due sistemi, prima di tutto, devono possedere solide basi etiche, nel senso che, nei limiti del possibile, devono essere strutturati in modo da generare comportamenti corretti. Tutti questi motivi giustificano (per non ripetere l’infortunio di Talete) il richiamo ad una maggiore con- siderazione per il “sistema di assistenza sociale” da parte dei professionisti di Sanità pubblica, ma anche di tutti gli altri professionisti “produttori di salute”.

Data l’ampiezza dell’argomento, non è certo possibile in questa sede, descrivere «il complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero del benessere sociale ed economico di tutta la popolazione»15. A questo scopo, e nel quadro del rinnovamento e ampliamento della politica editoriale di questa Rivista (cfr. Lettera aperta ai lettori della Rivista “Igiene e Sanità pubblica”, Ig. Sanità publ, 2019; 75: 3-6), sì intende dare inizio ad una apposita rubrica dedicata alle connessioni tra Sanità pubblica e Assistenza sociale in quanto la mancata o ridotta conoscenza dei due sistemi ha portato non solo i professionisti ma anche la gente a ignorare o trascurare finora la loro reciproca influenza e potenziamento, tradendo peraltro la lunga storia normativa per favorire ed attuare l’integrazione sociosanitaria16. Tutti i portatori di interesse (stakeholder)17 della Sanità pubblica si dovranno impegnare per integrare i servizi che rispondono ai bisogni sociali, assimilando i determinanti sociali di salute, nella eroga- zione dei servizi di assistenza sanitaria per ottenere i migliori esiti di salute individuale e collettiva.

Armando Muzzi – Augusto Panà

note

  1. Al di là della definizione corrente di “sistema” [una unità fisica e funzionale, costituita da più parti o sottosistemi interagenti (od in relazione funzionale) tra loro (e con altri sistemi), che formano un tutt’uno in cui ogni parte dà il proprio contributo per una finalità comune o un obiettivo identificativo], è più agevole definirlo come «il complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione» (art. 1 Legge 833/1978). Se questa può essere considerata la definizione di “sistema di assistenza sanitaria”, per similitudine e in mancanza di una espressa indicazione legislativa, il “sistema di assistenza sociale” può diventare «il complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero del benessere sociale ed economico di tutta la popolazione». Questa definizione consente di studiare e analizzare i due sistemi con le stesse modalità concettuali e metodologiche, molto sviluppate da coloro che progettano ed esercitano la Scienza dell’erogazione dell’assistenza sanitaria (cfr. Editoriale. La Scienza dell’erogazione dell’assistenza sanitaria. Ig. Sanità Pubbl. 2014; 70: 131-140)
  2. Malgrado la confusione che regna nella terminologia (e purtroppo anche nella distribuzione delle risorse), la “Sicurezza sociale” comprende sia il sistema di assistenza sociale (finanziato con risorse erariali) e sia la Previdenza sociale (che comporta oneri per gli assistiti). Per proteggere le persone dai rischi che si possono incontrare nella vita, l’art. 22, comma 2, della Legge 328/2000 elenca “interventi” e “misure”, e relativi portatori di bisogno/titolari di diritti: 1. misure di sostegno alla povertà; 2. misure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza a domicilio; 3. interventi di sostegno ai minori e ai nuclei familiari anche attraverso l’affido e l’accoglienza in strutture comunitarie; 4. misure per sostenere le responsabilità familiari; 5. misure di sostegno alle donne in difficoltà; 6. interventi per l’integrazione sociale delle persone disabili, ivi compreso la dotazione di centri socio-riabilitativi, di comunità alloggio e di accoglienza; 7. interventi per le persone anziane e disabili per favorire la permanenza a domicilio, nonché la socializzazione e l’accoglienza presso strutture residenziali e semiresidenziali; 8. prestazioni socio-educative per soggetti dipendenti; 9. informazione e consulenza alle famiglie per favorire la fruizione dei servizi e l’auto aiuto.
  3. Il bisogno non è altro che la percezione della mancanza totale o parziale di uno o più elementi che costituiscono il benessere della propria persona. Nel 1954 Abraham Maslow ha proposto una “gerarchia di bisogni” (la piramide dei bisogni) cioè una serie di “bisogni” disposti gerarchicamente in base alla quale la soddisfazione dei bisogni più elementari è la condizione per fare emergere i bisogni di ordine superiore. I cinque livelli di bisogno sono: bisogni fisiologici (fame, sete, ecc.); bisogni di salvezza, sicurezza e protezione; bisogni di appartenenza (affetto, identificazione); bisogni di stima, di prestigio, di successo; bisogni di realizzazione di sé (realizzando la propria identità e le proprie aspettative e occupando una posizione soddisfacente nel gruppo sociale).
  4. Nel 2005, l’OMS ha costituito la Commissione sui Determinanti Sociali di Salute composta da 20 membri al fine di raccogliere informazioni ed evidenze sull’impatto dei determinanti sociali sulla salute e soprattutto di trasformare il patrimonio di cono- scenza e di esperienza acquisito in possibili interventi efficaci e politiche per i governi di tutto il mondo. A distanza di 3 anni, nell’agosto del 2008, la Commissione ha pubblicato il Rapporto finale del lavoro (Final Report of the Commission on Social Determinants of Health (CSDH). Closing the gap in a generation: health equity through action on the social determinants of health. World Health Organisation, Geneva: 2008).
  5. “Quell’oscuro oggetto del desiderio” è il titolo dell’ultimo film diretto dal regista Luis Buñuel che racconta il desiderio del prota- gonista di possedere una giovane ragazza (metafora della salute) che ripetutamente ne frustra i desideri romantici e amorosi con un comportamento ambiguo e sfuggente.
  6. «La sopravvivenza è prevista in aumento. Entro il 2065 la vita media crescerebbe di oltre cinque anni per entrambi i generi, giungendo a 86,1 anni e 90,2 anni, rispettivamente per uomini e donne (80,6 e 85 anni nel 2016). L’età media della popola- zione passerà dagli attuali 44,9 a oltre 50 anni nel 2065,… il processo di invecchiamento della popolazione è da ritenersi certo e intenso» (ISTAT. Il futuro demografico del paese. 3 maggio 2018).
  7. «Sia nel 2003 che nel 2014 le prime tre cause di morte in Italia sono le malattie ischemiche del cuore, le malattie cerebrovascolari e le altre malattie del cuore (rappresentative del 29,5% di tutti i decessi), anche se i tassi di mortalità per queste cause si sono ridotti in 11 anni di oltre il 35%» (ISTAT. L’evoluzione della mortalità per causa: le prime 25 cause di morte. Anni 2003-2014). «Gli uomini italiani si caratterizzano nel quadro europeo per avere un’elevata longevità (terzi solo dopo gli islandesi e gli svedesi), ma un valore inferiore rispetto a quello medio europeo nella percentuale degli anni vissuti liberi da disabilità (79,6%)» (Ministero della Salute. La situazione sanitaria del Paese. 1.3. Qualità della sopravvivenza: confronti internazionali).
  8. «Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari» (articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani).
  9. Ha suscitato un ampio dibattito la portata del termine “essenziale”. A riguardo si sono affermati due diversi orientamenti: il primo ritiene “essenziale” ciò che è necessario, indispensabile a soddisfare un determinato e specifico bisogno sanitario o sociale, quindi strettamente dipendente dalla condizione della persona verso cui si dirige la prestazione; il secondo ritiene che significhi minimo, cioè di base, compatibilmente con le risorse finanziarie. Ma, mentre in Sanità prevale il primo orientamento in quanto le prestazioni rispondono a reali bisogni di salute, di solito determinate da professionisti sanitari, validate dal punto di vista dell’efficacia clinica e appropriate nella modalità di erogazione, in campo sociale prevale il secondo orientamento in quanto le prestazioni vengono definite in modo generico e devono essere finanziate da un apposito fondo, il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali (FNPS).
  10.  I LEA indicano l’insieme di tutte le prestazioni, servizi e attività che i cittadini hanno diritto a ottenere dal Servizio sanitario nazionale (SSN), allo scopo di garantire condizioni di uniformità, a tutti e su tutto il territorio nazionale. Il sistema dei livelli essenziali di assistenza prevede: l’assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e lavoro; l’assistenza distrettuale; l’assistenza ospedaliera (D.P.C.M 12 gennaio 2017).
  11.  Nel mentre i LEA dopo 16 anni sono stati aggiornati, i LivEAS non sono mai stati compiutamente definiti in quanto le carat- teristiche e i requisiti delle prestazioni devono essere fissati dal Piano Nazionale degli Interventi e dei Servizi Sociali, dal Piano Regionale e dal Piano di Zona e pertanto non possono essere realmente reclamate ma devono dipendere dalla valutazione del Servizio sociale, il quale a sua volta deve rimettersi alle disponibilità del bilancio comunale.
  12.  Con Decreto del Ministro della salute 21/11/2011 è stato istituito il Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei Livelli essenziali di Assistenza col compito di verificare che l’erogazione dei LEA avvenga nel rispetto di condizioni di appropria- tezza e di efficienza nell’utilizzo delle risorse messe a disposizione per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), nonché di verificare che vi sia congruità tra le prestazioni da erogare e le medesime risorse. Dall’11 ottobre 2016 è poi in funzione presso il Ministero della Salute anche la Commissione Nazionale per l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza e la Promozione dell’Ap- propriatezza del SSN.
  13. Una definizione di assistenzialismo a connotazione negativa è la degradazione del sistema di assistenza pubblica e sociale, in cui lo Stato interviene soprattutto con l’erogazione di fondi a cittadini o enti, senza un piano efficace per il loro utilizzo e una verifica dei risultati desiderati.
  14. Il clientelismo è una pratica per cui soggetti inseriti in amministrazioni pubbliche instaurano un sistema di favoritismi e scambi – fondato sull’assegnazione arbitraria di risorse, benefici o posti di prestigio – con chi non avrebbe alcun titolo per godere di tali favori e, in politica, allo scopo di acquisire consensi elettorali.
  15. Quanto meno: a) il servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei fami- liari; b) il servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari; c) l’assistenza domiciliare; d) le strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali; e) i centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario (art. 22, comma 2, della Legge 328/2000).
  16. Dopo il DPCM 6/6/1985 “Atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni e alle Provincie autonome in materia di attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali”, l’art. 3-septies del D.L. 229/1999 ha disciplinato in modo rigoroso l’integrazione socio- sanitaria: «1. Si definiscono prestazioni sociosanitarie tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione. 2. Le prestazioni sociosanitarie comprendono: a) prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, cioè le attività finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti o invalidanti di patologie congenite e acquisite; b) prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le attività del sistema sociale che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute». Nell’attesa della definizione del Patto per la salute 2019-2021, l’art. 6 del Patto per gli anni 2014-2016 del 10 luglio 2014 continua a fornire precise indicazioni sulla Assistenza socio-sanitaria e, in particolare sulle “reti integrate dei servizi socio-sanitari”.
  17. Tra le molte definizioni di “stakeholder” appare conveniente per la Sanità pubblica fare riferimento a «soggetti senza il cui supporto l’impresa non è in grado di sopravvivere», oppure a «soggetti che possono influenzare oppure che sono influenzati dall’impresa». «Fanno dunque parte di tale insieme (Sanità pubblica) clienti, fornitori, finanziatori, collaboratori, dipendenti, ma anche gruppi di interesse locali o esterni, come i residenti di aree limitrofe a un’azienda e le istituzioni statali relative all’amministrazione locale» (Wikipedia).

Published

in

,

Keywords: